Egli stava seduto sul comodino con le gambe allargate a penzoloni.
I pantaloni neri e i boxer erano abbandonati ai suoi piedi e le cosce pallide tremavano leggermente, sotto uno spiffero gelido della finestra socchiusa.
Un lembo della sua camicia ricadeva tra le gambe coprendogli i genitali e la cravatta color porpora aderiva diritta alla fila di bottoni madreperla.
In quel momento non indossava le scarpe. Calzava solo due corti calzini bianchi che arrivavano a coprirgli le caviglie.
Ciondolava leggermente le gambe e si guardava in giro, distrattamente.
La stanza era piccola e umida. Una finestrella esposta a nord raffreddava ulteriormente le pareti qua e là sbrecciate, un poco ammuffite. L’impianto di riscaldamento era guasto e quel poco calore che rimaneva era di natura animale, umana. Facendo così, però, l’odore di chiuso diventava insopportabile, e così la finestrella veniva aperta ogni tanto, lasciando entrare l’inverno. Soprattutto dopo aver fumato.
Il letto a fianco del comodino era sfatto. L’intelaiatura di legno era in parte imbarcata e scricchiolava ogni qual volta che si sedeva sopra qualcuno. La coperta di lana scozzese, a scacchi rossi e verdi, sbiaditi, era arrotolata per terra; i cuscini sporchi erano ammucchiati a caso sul materasso.
Un fatiscente letto a due piazze; di cui una era occupata dal bianco corpo di una ragazza addormentata sulla pancia. Il lenzuolo leggero le copriva le gambe fino alle natiche, lasciando intravedere le decorazioni semplici delle mutandine.
La ragazza non indossava altro.
Ciocche di capelli rossi si adagiavano sulle spalle e sul cuscino.
Dormiva un sonno profondo e sembrava così fragile...
L’uomo sul comodino prese ad osservare il volo di una mosca che da qualche minuto era entrata nel locale. Il silenzio piatto metteva in risalto il suo persistente ronzio, che aumentava e diminuiva con ritmo regolare.
La mosca si posò sul cuscino della donna. L’uomo rimase in trance ad osservare con distacco le frenetiche zampette della mosca che si fregavano e si agitavano.
I mille occhi dell’insetto fissavano le pareti uniformi della camera.
Si alzò in volo di nuovo. Prese a volteggiare vicino al soffitto. Si posò sulla lampadina spenta. Decollò ancora ma l’uomo si era già stancato di seguirla. Adesso si guardava le mani che tremavano, leggermente infreddolite. Tossì. Si schiarì la gola e sputò in terra.
Riprese a seguire la mosca.
Il rumore bianco del traffico faceva da tappeto sonoro alla situazione. L’autostrada era piuttosto vicina ma le barriere anti rumore ai lati della carreggiata assorbivano bene le vibrazioni e garantivano un costante fruscio silenzioso che permeava le giornate. Uno strusciare di coperte fece perdere di vista la mosca al tipo sul comodino.
La ragazza si mosse lentamente e si girò di schiena.
L’uomo piegò la testa di lato e fissò per un attimo i seni tondeggianti adagiati sul suo torace. Erano pallidi come il resto del corpo, di media grandezza.
Lui li accarezzò con gli occhi e poi distolse lo sguardo.
Allungò la mano in un cassetto aperto ed estrasse un pacchetto di Camel. Ne accese una.
Il fumo azzurrognolo saliva lentamente fino a quando non incontrava lo spiffero gelido e si disperdeva verso l’alto addensandosi sul soffitto.
Un tiro lungo. Poi l’uomo tossì ancora.
Giunsero dei rumori secchi dalla finestra, l’abbaiare di un cane, voci sparse. La sigaretta era quasi finita e la cenere era caduta tutta sul pavimento raggiungendo altri mozziconi e cartacce.
Lui tirò per un’ultima volta e la spense sul muro. Si stiracchiò. Sbadigliò e si tirò in piedi. Si stirò ancora e provò a toccarsi le punte dei piedi, con scarso successo.
Gli cadde lo sguardo di nuovo sul volto della ragazza e sui capezzoli rosei. Si bagnò le labbra nervosamente e raccolse i boxer; li rigirò e se li infilò goffamente.
Tossì una e due volte. Sbadigliò rumorosamente e si sedette sul letto che scricchiolò sotto il suo peso.
Afferrò i calzoni e li indossò.
Si alzò in piedi ed uscì dalla stanza.
giovedì 11 settembre 2008
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